Nel noto detto popolare arbëresh “Karnivall ku vajte u n’gule? Hengre lakra me fasule!” (Carnevale, dove ti sei cacciato? Hai mangiato cavoli e fagioli!) trova conferma la predilezione per i piatti e minestre a base di erbette locali, verdure e legumi.
Tali pietanze, che molti amano definire “piatti poveri”, hanno oggi conquistato a pieno titolo un posto preminente anche nella gastronomia “ricca”, per la indiscutibile dote di bontà del gusto ricavata dalla semplicità della preparazione e dalla naturale genuinità del prodotto della terra impiegato.
Dal detto arbëresh “Rit gne derk nde shpit, se lagin buzin per gne vit” (Cresci un maiale a casa e ungi la bocca per un anno), che ritrae la consolidata e ancor mantenuta usanza arbëreshë di ricavare dal maiale, allevato in casa, la variegata ed appetitosa provvista familiare annuale, si impernia la esclusiva e vincente proposta di assaggio del vero prosciutto del Pollino, autentico re della tavola Kamastra, nel suo sapore antico e prorompente, ma delizioso e fragrante.
Dalla tradizione casalinga delle massaie arbëreshë, che ancora oggi amano dire con soddisfazione “Jeme bemi Petulla Krustul e Kanalleta” (Stiamo facendo i dolci natalizi Pettole Crustuli e Scalette), tradizione ancora oggi tutta pervasa dal senso dell’ospitalità, della gentilezza e del rispetto altrui, sono state raccolte le usanze e i costumi anche gastronomici che dominano la scelta delle paste, immancabilmente solo e solamente di casa, nonché dei dolci, per come preparati ed elaborati tra le mura domestiche, nelle ricorrenze,dalle mani esperte di mamme e nonne, seguendo vecchie ricette gelosamente custodite ed amorevolmente tramandate.